Quasi un diario, un quaderno
intimo che scandaglia il retroterra degli anni Sessanta e Settanta a partire
dall'amore deluso per la città-chiesa che da secoli si culla in una illusione
di cambiamento impossibile e ciclica quanto la sua architettura di luci e
ombre. In questa dichiarazione d'amore - non estranea a un soggettivismo
disperato , Franco
Ungaro, fissa gli invisibili confini del capoluogo salentino, ben oltre le sue
declinazioni geografiche. L'amarcord di Ungaro abbraccia diversi movimenti
attraversati da scoppi di energia, pulsioni politiche e smarrimenti che
impongono, all'uomo e all'intellettuale, e dunque al lettore di queste pagine,
confronti serrati con i frutti nati dalla scelta di restare a Lecce e tutto ciò
che poteva essere eppure non è stato. Come sottolinea Goffredo Fofi nella postfazione:
"Franco Ungaro è un innamorato esigente, e sa vedere di Lecce il buono e
il cattivo, il bello e il brutto. Sa vedere e sa giudicare".
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